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DOVE NASCE L’EMPATIA: I MIRROR NEURONS E LE EMOZIONI

30/11/2020 23:59

Dr.ssa Gaia Guggeri

Neuroni specchio, Mirror neurons, Basi biologiche dell'empatia, Empatia, Emozioni, Autismo,

empatia e neuroni specchio

Una seie di esperimenti ha verificato che se le stesse strutture corticali che si attivano quando un individuo prova un’emozione si attivino anche quando ques

In passato


erano già stati effettuati diversi studi volti a trovare un collegamento tra


linguaggio e i neuroni motori. La maggior parte degli studi comportamentali a


favore della teoria motoria cercano di dimostrare come le rappresentazioni


motorie e le rappresentazioni concettuali interagiscono tra loro e,


soprattutto, come le prime siano in grado di influenzare le seconde.


In un


esperimento per dimostrare che le parole automaticamente attivano la


rappresentazione motoria, Glover e colleghi (2004) mostrarono ai partecipanti


il nome di un oggetto grande o piccolo (ad esempio mela o uva). Il compito dei


partecipanti era quello di leggere il nome dell’oggetto e subito dopo


raggiungere ed afferrare un oggetto target presente sul tavolo (grasping


movement). I risultati mostrarono che l’apertura della mano durante il


movimento di grasping era influenzato dalla parola che veniva letta in


precedenza: se veniva letto il nome di un oggetto grande, i partecipanti


aprivano la mano di più rispetto a quando leggevano il nome di un oggetto


piccolo. Questo indipendentemente dalla dimensione dell’oggetto target che


dovevano afferrare. Questo esperimento, insieme a molti altri (Glenberg e


Kaschak, 2002; Brass et al., 2001, Craighero et al., 2002; Tucker e Ellis,


2004; Bub et al., 2008) vennero utilizzati come prova del fatto che il nostro


sistema motorio si attiva automaticamente quando leggiamo determinate parole.


Il


meccanismo appena descritto, funziona anche con le emozioni?


In questi


ultimi anni è stata condotta una serie di esperimenti allo scopo di verificare


se le stesse strutture corticali che si attivano quando un individuo prova


un’emozione si attivino anche quando questi osserva un’emozione simile in


un’altra persona. Due sono state le emozioni particolarmente studiate: il


disgusto e il dolore.


Il


disgusto, pur non essendo riconosciuto da tutti come un’emozione di base,


appare presente negli esseri umani indipendentemente da sesso, razza e classe


sociale, tanto che già Charles R. Darwin lo considerava una delle emozioni


fondamentali della specie umana. Studi di fMRI (Risonanza Magnetica funzionale)


hanno mostrato che i centri nervosi che si attivano maggiormente quando una


persona prova disgusto sono l’insula, l’amigdala e la corteccia del cingolo


anteriore.



disgustojpg


Ma cosa


avviene quando noi osserviamo una persona che esprime disgusto? Quali aree si


attivano? Esiste un meccanismo specchio per il disgusto? Per rispondere


a queste domande, è stato condotto un esperimento di fMRI che si basava su due


condizioni sperimentali. Nella prima, ai soggetti era chiesto di annusare odori


piacevoli, neutri o disgustosi, mentre nella seconda essi dovevano osservare


l’espressione facciale di individui che, avendo annusato le stesse sostanze,


esprimevano le emozioni relative. In accordo con i dati precedenti si è trovato


che la stimolazione olfattiva con stimoli disgustosi (odore di uova marce)


provocava attivazioni principalmente nell’insula, nell’amigdala e nella


corteccia del cingolo anteriore. La stimolazione visiva con facce che


esprimevano disgusto attivava varie aree corticali visive, l’insula anteriore


di sinistra (ma non l’amigdala) e il cingolo anteriore. Il risultato più


importante dell’esperimento è stato che le attivazioni dovute alla stimolazione


con stimoli olfattivi disgustosi e quelle dovute a espressioni facciali che


esprimevano disgusto evidenziavano una localizzazione identica nell’insula


anteriore e nel cingolo. Appare, quindi, che tanto l’insula quanto il giro del


cingolo contengono neuroni che si attivano sia durante l’esposizione a un odore


disgustoso sia durante l’osservazione del disgusto in altri. Queste


strutture appaiono dotate di un meccanismo specchio che trasforma stimoli


visivi con contenuto emotivo in pattern viscero-motori tipici dell’emozione


osservata (Gallese, Keysers, Rizzolatti 2004).


Oltre che


con il disgusto, attivazioni nell’insula anteriore e nella corteccia anteriore


del cingolo sono state ottenute studiando soggetti che provavano dolore o


immaginavano che un’altra persona provasse un dolore simile. Come lo studio sul


disgusto anche questo studio di fMRI si componeva di due condizioni


sperimentali. Nella prima si applicava alla mano dei soggetti (tutti di sesso


femminile) uno stimolo elettrico leggermente doloroso mediante due piccoli


elettrodi; nella seconda, i soggetti vedevano gli stessi elettrodi applicati


alla mano del loro fidanzato. Ai soggetti era detto che il fidanzato avrebbe


ricevuto lo stesso stimolo doloroso che loro avevano sentito. I risultati hanno


mostrato che gli stessi siti dell’insula anteriore e della corteccia del


cingolo che si attivavano durante la sensazione dolorosa, si attivavano anche


quando i soggetti pensavano che i loro fidanzati provassero dolore (Sing-er,


Seymour, O’Doherty et al. 2004). Come il disgusto anche il riconoscimento


del dolore in altri è legato all’attivazione delle strutture che entrano in


funzione quando è l’individuo che osserva a provare dolore in prima persona. Il


riconoscimento del dolore altrui risulta quindi mediato da un meccanismo


specchio. Ciò significa che io non capisco il disgusto ma io sento


il disgusto, quindi io non capisco un’emozione, ma la sento.


Quindi io


ho due modi per capire ciò che mi circonda: uno oggettivo, che implica il


ragionamento logico-inferenziale e la conoscenza (ad esempio la matematica, il


volo di un uccello…) e l’altro che nasce da dentro noi stessi e che io posso


capire perché l’altro è come me (se tu provi dolore lo provo anch’io). Questa


è l’empatia.


 “In ogni azione, oltre al ciò che si


fa, conta l’intenzione: il perché la si fa“ (Rizzolatti,


2004).


“Prendere


un bicchiere”, equivale ad agire. “Come lo prendo” è


fondamentale per capire l’intenzione. Se per bere, per brindare, o per scagliarlo


contro il mio interlocutore, per esempio. E sono i neuroni specchio che


ci rivelano l’intenzione in tempo reale, per cui siamo pronti a coprirci la


faccia se chi ci sta dinanzi ha intenzioni aggressive, perché riconosciamo i


segni tipici dell’ “intenzione aggressiva”. Empatia significa


dunque entrare nei panni degli altri sintonizzando il nostro cervello


con quello di chi ci sta intorno.



LA SIMULAZIONE INCARNATA

Vittorio


Gallese è uno degli scienziati italiani scopritori dei neuroni specchio,


secondo il quale alla base dell’empatia ci sarebbe un processo di


“simulazione incarnata” (Gallese, 2005), vale a dire un meccanismo di


natura essenzialmente motoria, molto antico dal punto di vista dell’evoluzione


umana, caratterizzato da neuroni che agirebbero immediatamente prima di ogni


elaborazione più propriamente cognitiva. Si tratterebbe di un


meccanismo automatico e diretto che, secondo l’interpretazione degli


scienziati, consente di comprendere le azioni altrui senza che sia necessario


un atto riflessivo, linguistico o verbale (processo inferenziale), ma solo


basandosi sulle proprie competenze motorie. Senza i neuroni specchio si


osserverebbe il prossimo ‘a distanza’, senza una vera partecipazione e quindi


senza una comprensione profonda di ciò che sta avvenendo. Tale meccanismo non


vale solo per le azioni, ma anche per le emozioni. Abbiamo visto che dal punto


di vista neuronale, non vi è differenza se si provano emozioni in prima persona


o se a provarle è un altro soggetto: le aree della corteccia cerebrale che si


attivano nei due casi sono le stesse. Per Gallese ciò costituirebbe la


dimostrazione dell’esistenza di un meccanismo specchio in grado di codificare


l’esperienza direttamente in termini emozionali. Ciò non significherebbe


che senza i neuroni specchio non saremmo in grado di discriminare le emozioni


altrui, bensì che queste sarebbero prive della loro ‘coloritura emotiva’.


Secondo la prospettiva degli autori, il sistema della simulazione incarnata


pone una comprensione degli altri in termini fenomenologici: permette di


percepire “l’altro oggettuale” come un “altro se stesso”. In


questo senso, il livello fenomenologico è definito come ‘livello empatico’,


intendendo l’empatia nell’accezione ampia di legame immediato e interpersonale.


Nello specifico, si tratterebbe della «[…] capacità di stabilire un legame


affettivo interpersonale dotato di significato», che riguarda la


comprensione del modo in cui agiscono gli altri, delle emozioni e sensazioni


che manifestano.


CRITICA


ALLA TEORIA DEI MIRROR NEURONS


 Alcuni


ricercatori, pur non negando che ci sia un’attivazione delle regioni motorie,


sostengono che questa risonanza potrebbe essere la conseguenza di una


connessione associativa con aree concettuali. In altre parole, quando


osserviamo un’azione, prima verrebbe attivata l’area concettuale non-motoria che


elabora le informazioni che riguardano il significato dell’azione e che ci


permette di comprendere l’azione, e solo in un secondo momento, tramite


connessioni associative, viene attivata l’area premotoria.


Per


dimostrare ciò sono stati condotti esperimenti che hanno osservato come veniva


compiuto un compito in soggetti con lesioni all’emisfero cerebrale sinistro e


veniva loro chiesto di spiegare il significato dell’azione compiuta.  Se il riconoscimento e l’esecuzione di


un’azione si basano sullo stesso meccanismo neurale, come sostiene la teoria


motoria, allora entrambe le abilità dovrebbero essere compromesse quando le


strutture neurali motorie e premotorie sono danneggiate (Pazzaglia et al.,


2008). Al contrario, numerosi studi mostrano doppie dissociazioni tra


riconoscimento di azioni e esecuzione di azioni (Rumiati et al., 2001; Negri et


al., 2007; Kalénine et al., 2010; Urgesi et al., 2014). Questo significa che ci


sono pazienti che non sono in grado di eseguire correttamente un’azione, ma


sono però in grado di comprendere e interpretare le azioni altrui (Vannuscorps


e Caramazza, 2016) e viceversa. Questi risultati vanno in direzione opposta


rispetto a coloro che sostengono la teoria pura dei neuroni specchio e


suggeriscono quindi che l’informazione concettuale delle azioni è astratta ed è


rappresentata nel lobo temporale e non nelle aree motorie e premotorie come


sostiene la teoria motoria.


 CAMPI DI APPLICAZIONE


DELLA TEORIA DEI NEURONI SPECCHIO


Le


applicazioni di questa scoperta sono molteplici e spaziano dal campo medico a


quello sociale.


In campo


sociale la valutazione parte dal presupposto di Rizzolatti che, pur essendo


innato, il meccanismo dei neuroni specchio può essere modificato dalla


educazione e dalla società. L’essere umano possiede il vantaggio di un


meccanismo biologico che ci fa sentire vicino agli altri e ci fa capire gli


altri come se fossimo noi stessi. Questo meccanismo, tuttavia, è a rischio


perché può essere soggetto a modificazioni. Intuitivo e cognitivo, empatia e


cultura, si influenzano a vicenda. Posso con il ragionamento capire ciò che


non “sento” attraverso i neuroni specchio, e viceversa posso bloccare


attraverso un percorso razionale e culturale l’azione dei neuroni specchio.


Questo spiega perché l’empatia si attiva maggiormente , come a cerchi


concentrici, verso coloro che ci hanno insegnato a considerare simili a noi: i


familiari, i vicini di casa, i concittadini, quelli che appartengono alla


stessa religione, allo stesso partito, o tifano verso la stessa squadra di


calcio. E viceversa possono venire inibiti nei confronti di chi viene


considerato un diverso: l’appartenente a un’altra tribù, quello che ha un altro


colore di pelle, lo schiavo o l’ebreo. Il nazismo, su questa radice culturale


di diversità, ha innestato una potente campagna denigratoria che descriveva


l’ebreo come un appartenente a un’altra razza, un subumano, equiparandolo a un


animale repellente. Questo potrebbe spiegare (Simon Baron Cohen La scienza


del male: l’empatia e le origini della crudeltà Raffaello Cortina


editore, 2012) come mai l’efferatezza nazista fosse accettata, se non coadiuvata,


da tante persone “perbene”, che ritenevano di avere un alto senso morale, madri


affettuose, padri di famiglia rispettabili, cittadini esemplari –e questo vale


anche per le leggi razziali in Italia. L’aver trasformato gli ebrei in diversi,


in non appartenenti alla razza umana, in animali pericolosi, aveva prodotto una


totale insensibilità verso la loro sofferenza. I neuroni specchio, insomma,


potrebbero essere attivati o disattivati da fattori culturali. È questa


l’ultima frontiera della ricerca di Rizzolatti, che aiuta a comprendere anche i


grandi cambiamenti sociali della nostra epoca, sempre più tendente


all’individualismo e all’egoismo. E in una società che ci spinge all’egoismo,


alla competizione, e quindi alla fretta dovremmo esercitarci a rallentare,


magari fermarci proprio, capire che la vera vittoria sta nel non tradire ciò


che sentiamo e che ci spinge verso l’altro, anche se questo ci costringe a cambiare.


Non ce lo dicono i manuali di self help o di evoluzione


personale, ma il nostro stesso cervello. Le modalità secondo cui questo


meccanismo inibitorio o attivatorio da parte della cultura agisca sui neuroni


specchio ancora non è stato identificato, ma quando lo sarà potrà portare a una


vera e propria rivoluzione nella vita sociale e nelle terapie delle malattie


psichiatriche.


Noi


passiamo la vita a imitare, apprendiamo fin da bambini attraverso l’imitazione


e tendiamo a ripetere gli  stessi pattern di comportamento di quelli a cui siamo esposti. Questo è il


motivo per cui, spesso, i comportamenti violenti o sbagliati dei bambini sono


una conseguenza dell’ambiente familiare malsano in cui hanno vissuto.


Ci sono


poi le implicazioni di questa teoria in campo medico-riabilitativo. Pensiamo per


esempio a chi tiene ingessato per lungo tempo gli arti inferiori: quando toglie


il gesso non riuscirà a camminare immediatamente come prima ma tenderà a


mantenere la postura che aveva quando era ingessato. Questo avviene perché


durante il periodo di immobilità degli arti si attivano i neuroni del circuito


motorio “parassita” che vanno a sostituire il circuito “giusto”. Mostrare


filmati (meglio ancora se del soggetto stesso) in cui cammina normalmente,


velocizza il ripristino del circuito motorio normale e, quindi, accorcia i


tempi della riabilitazione. Nel futuro sulla base di questa teoria si possono


pensare diversi interventi riabilitativi: nelle paresi, ad esempio,


l’attivazione dei neuroni motori residui attraverso l’immagine potrebbe offrire


una speranza di recuperare una certa mobilità.


Altre


possibilità di studio possono avvenire anche per alcune patologie psichiatriche,


come il Disturbo Narcisistico di personalità o Borderline o nell’autismo e in


generale nei disturbi del Cluster B, dove il tratto caratterizzante, cioè la


mancanza di empatia, potrebbe essere dovuto ad un impoverimento o ad una


mancanza dei neuroni specchio. Dunque sarebbe il circuito cerebrale


dell’empatia che risulta ipoattivo in persone affette da disturbo borderline,


antisociale o narcisistico di personalità. Baron-Cohen individua, nei soggetti


affetti da questi disturbi, un punteggio zero negativo dell’empatia. Questo li


rende incapaci di capire la propria mente in termini di emozioni e sentimenti e


di sintonizzarsi su quella dell’altro, che è trattato freddamente e cinicamente


come un oggetto concreto e perciò può subire efferate violenze per banali


motivi.


LA TEORIA DEGLI SPECCHI INFRANTI

Un’altra


prova di quanto sopra esposto deriva dall’osservazione che nei bambini con


sindrome di Asperger, studi di neuroimaging hanno evidenziato il fatto che i neuroni specchio non si attivano adeguatamente in risposta a


stimoli esterni: quando parlano senza filtri o non riescono a leggere i segnali


emotivi, ad esempio. Infatti essi faticano a comprendere i sentimenti altrui e


mancano, appunto, di empatia.


Queste


idee portano direttamente all’ipotesi che qualche disfunzione nel sistema dei


neuroni specchio potrebbe essere implicata nella generazione della


costellazione di caratteristiche cliniche che costituiscono la sindrome


autistica. L’ipotesi più basilare sarebbe che ci sia un fallimento o una


distorsione nello sviluppo del sistema dei neuroni specchio. Ciò potrebbe


essere dovuto a cause genetiche o ad altre cause endogene, a condizioni esterne


avverse al funzionamento dei sistemi specchio o ad alcune interazioni tra


questi.


I deficit


sociali dell’autismo sarebbero da ricondurre a un malfunzionamento del sistema


specchio e l’emergere di una tale disfunzione nelle fasi più precoci dello


sviluppo darebbe origine a una cascata di effetti. L’incompetenza sociale


dell’autismo deriverebbe da un deficit nella capacità di simulare le azioni


degli altri e, di conseguenza, capire le loro azioni “come se fossi io a


farle”. Inoltre, in generale, gli autori hanno rilevato delle attivazioni dei


neuroni specchio più deboli e più lente nella risposta dei soggetti con autismo


rispetto al gruppo di controllo. Benché non tutti gli studiosi siano concordi


con tale ipotesi eziopatogenica dell’autismo ed altre ricerche non la abbiano


confermata, tuttavia la teoria degli specchi infranti resta comunque una teoria


interessante che in parte spiega alcune disfunzioni tipiche dell’autismo.


L’individuazione di un malfunzionamento nel sistema specchio come deficit di


base della sindrome autistica e la conseguente alterazione del meccanismo di


simulazione incarnata come spiegazione dell’incapacità dei soggetti autistici


di rispecchiarsi negli altri e conseguentemente di interagire adeguatamente con


i propri interlocutori, fornisce infatti una spiegazione anche della


compromissione delle abilità alla base della competenza sociale.


 


 


Bibliografia


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     Iscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi di Como n° 4981  -   Iscritta all'Albo degli Psicoterapeuti di Como

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