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FASE 2: QUALI PROBLEMI DOVREMO AFFRONTARE?

24/06/2020 22:47

Dr.ssa Gaia Guggeri

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FASE 2: QUALI PROBLEMI DOVREMO AFFRONTARE?

Fase 2: conseguenze psicologiche della pandemia da Covid-19



Stiamo uscendo


dalla fase 2 della pandemia da Covid-19, quella della riapertura, seppur


graduale. Ma è davvero tutto finito? Un recente articolo apparso su Lancet Psychistric,


prospetta un'altra " pandemia", legata ai disturbi psichiatrici


correlati al Coronavirus.


Tanto abbiamo


letto sugli effetti dell’isolamento, sul rischio di sviluppare stati d’ansia,


disturbi dell’umore, fino a veri e propri disturbi post traumatici da stress,


non solo legati agli operatori sanitari. Questa previsione deve farci riflettere


sulle strategie da mettere in atto per prevenire lo sviluppo di disturbi


psichiatrici e ridurne l'incidenza.


Diversi sono i


fattori che possono attualmente influire sul nostro benessere


psicofisico. Innanzitutto lo stato di incertezza, che è ancora


presente. La sensazione che, nonostante l’apertura, il rischio non sia


finito, le notizie sulla possibile ripresa dell'infezione in autunno, il numero


comunque ancora elevato di contagi in Lombardia, sono tutti fattori che non


aiutano a ritrovare serenità ed equilibrio. L'incertezza, proprio perché


impedisce il controllo, impedisce di progettare il futuro e di pianificare a


lungo termine le nostre attività. Questo è spesso fonte d'ansia che, se non


gestita in modo adeguato, rischia di configurarsi in un vero e proprio Disturbo


d'ansia, come ad esempio un Disturbo d'Attacchi di Panico o tratti


ipocondriaci. Tutto ciò è implementato anche dal distanziamento sociale che,


sebbene meno restrittivo rispetto a prima, appare comunque penalizzare il


bisogno di socialità proprio dell'essere umano. Lo stress accumulato


durante il periodo do lockdown non andrà esaurendosi con l’apertura, ma farà


sentire i suoi effetti nel tempo. Questo ci rende più fragili e vulnerabili:


anche piccoli stress della vita quotidiana che in altri momenti non ci


avrebbero richiesto particolari strategie di adattamento, ora possono diventare


ingestibili. È come se l'asticella della nostra tolleranza allo stress si


fosse abbassata, rendendoci maggiormente vulnerabili. L'aumento della vulnerabilità,


a sua volta, può implicare che i meccanismi difensivi e adattativi che ognuno


di noi sa mettere in atto, possano non essere più sufficienti a mantenere


un buon equilibrio psichico. A questi fattori di ordine psicologico si possono


aggiungere fattori sociali e, soprattutto, economici. Infatti, oltre alle


preoccupazioni per il futuro, possono palesarsi oggettive problematiche di tipo


economico: aziende che chiudono, artigiani e professionisti che si trovano in difficoltà,


disoccupazione. Tale situazione può portare a sviluppare Disturbi


dell'adattamento fino a vere e proprie sindromi depressive. Precedenti studi


associati ad altre pandemie come la SARS nel 2002-2003 hanno dimostrato un


aumento nella popolazione di disturbi depressivi anche gravi, d'ansia e del


sonno. L'isolamento sociale era correlato allo sfasamento del ritmo


sonno-veglia e dell'alimentazione. Ciò ha influito in particolare su quei pazienti


affetti da Disturbo dell'alimentazione, con aumento degli episodi di abbuffare


e condotte di eliminazione. Molti esperti e professionisti hanno spiegato quali


strategie comportamentali mettere in atto per superare questi momenti di difficoltà:


mantenere la cura del sé, mantenere ritmi di vita adeguati, praticare attività


sportiva, mantenere i contatti sociali anche a distanza e tanti altri. Tutti


questi consigli appaiono molto utili fino a quando i livelli di stress sono


relativamente bassi e quindi ancora gestibili. Tuttavia altri sintomi non


devono essere minimizzati. Quando una persona fa molta fatica o non riesce


proprio ad alzarsi dal letto al mattino, quando si piange spesso, quando il


pensiero diventa rimuginazione ossessiva su un aspetto della vita (ad esempio


la paura ossessiva del contagio, il lavoro, la riduzione di disponibilità


economica, la paura per il futuro tanto per citarne alcuni), allora bisogna


intervenire tempestivamente. Soprattutto le rimuginazioni sono la spia che


qualcosa non va. Queste si differenziano dalle "normali " preoccupazioni


perché non portano alla risoluzione del problema, non sono cioè proattive, vitali


per mettere in atto strategie utili. Esse rappresentano un dispendio enorme di


energie psichiche e, tuttavia, si fossilizzano in un circolo vizioso che


autoalimenta l'ansia e la frustrazione ma, soprattutto, chiude ogni possibilità


di una visione oggettiva del problema. Tutto ciò determina, a cascata, un


implemento della depressione e dell'ansia che, a loro volta, possono


determinare l'insorgenza di un disturbo psichico.


In questa


situazione, le strategie adattative comunemente messe in campo non sono più


sufficienti e in questo caso sarebbe opportuno rivolgersi ad uno specialista.


In alcuni casi una terapia farmacologica può essere utile a ritrovare una certa


"distanza emotiva" dal problema, valutarlo in modo più obiettivo e


affrontarlo in modo più funzionale. Per altri, in alcune situazioni


psicopatologiche, pensare che basti la "buona volontà " o


"l'impegno" è estremamente sbagliato: quando si vive un disturbo


depressivi la buona volontà non serve proprio perché uno dei sintomi sono


l'anergia e l'apatia. Sarebbe come chiedere ad una persona con la gamba


fratturata di metterci impegno per fare una corsa a ostacoli! Al contrario, ove


lo specialista ne ravveda la necessità, una terapia farmacologica magari anche


associata a una presa in carico psicologica, può fare la differenza. Ricordate


che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di forza e di amore verso se


stessi.


     Iscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi di Como n° 4981  -   Iscritta all'Albo degli Psicoterapeuti di Como

P. IVA n°03399270135

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