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PSICOFARMACO E ALLEANZA TERAPEUTICA

03/02/2020 17:16

Dr.ssa Gaia Guggeri

Farmacoterapia, Alleanza terapeutica,

PSICOFARMACO E ALLEANZA TERAPEUTICA

“il farmaco,riportando costantemente alla mente del paziente lo sforzo del curante, diventail rappresentante della figura del medico e il metro di valutaz

PSICOFARMACO E ALLEANZA


TERAPEUTICA


Old drug store interior in New Orleans


Il temine


“farmaco” deriva dalla parola greca φαρμακον, che In greco classico assumeva


due significati differenti e antitetici: veleno e antidoto, male e rimedio. Il


φαρμακον era la droga magica o farmaceutica ambigua nelle mani di coloro che


godono di conoscenze eccezionali come maghi, sciamani e medici.


Ancora oggi il


farmaco gode di questa doppia valenza: se a volte viene considerato come la


panacea di tutti i mali, più spesso, viene vissuto come qualcosa di estraneo al


sé e quindi di pericoloso. I luoghi comuni rispetto ai farmaci, ed in


particolare gli psicofarmaci, sono ancora molti, e ciò ha un significato ancora


maggiore se si pensa che l’Organizzazione Mondiale della Sanità preveda che nel


2020 il disturbo depressivo diventerà la malattia più diffusa.


Nella sostanza


chimica confluiscono miti sociali, personali e familiari con profonda valenza


psicologica, al punto da essere considerata una sostanza psichica essa stessa,


desiderata e, nel contempo, temuta. Lo psicofarmaco attiva tutta una serie di


fantasie e simbolismi che viaggiano attraverso i due poli del salvifico


(guarigione) e malefico (intossicazione, avvelenamento) (La Barbera, 2017). Da


ciò deriva la figura dello psichiatra “sciamano”, che imbottisce di farmaci per


cambiare la personalità del paziente e per “plasmarne” la mente. In realtà


esistono sostanze in grado di modificare lo psichismo in modo molto maggiore


(ad esempio le alterazioni del macrobiota umano che può produrre composti


neuroattivi in grado di influenzare lo stato di salute mentale di una persona).



Two pills on white background


Un altro luogo


comune riguardante il farmaco risiede nella paura di sviluppare una dipendenza


da esso. In questo senso, come vedremo più avanti, risulta essenziale una buona


relazione terapeutica, fondamentale per una buona compliance e per un buon


rispetto della prescrizione medica, che riflette il superamento di un


metabolismo psicologico del farmaco che inizia ancor prima della sua assunzione.


Modificare tali


preconcetti non è facile, complici sia la formazione dello specialista che può


essere solo strettamente farmacologica, sia le “vecchie” terapie farmacologiche


psichiatriche, che hanno implementato una visione della psichiatria alla


“Qualcuno volò sul nido del cuculo”.


In che modo,


allora, si può agire sui preconcetti, sulle angosce e sulle valenze mortifere o


salvifiche dello psicofarmaco? Innanzitutto con una informazione chiara,


comprensibile e fruibile da parte del paziente sulla terapia, sugli effetti


collaterali, sul meccanismo d’azione e sulla scelta di quel determinato


farmaco. Tuttavia, nella pratica clinica, ciò spesso non è sufficiente poiché


si parte “dal fondo”, cioè la somministrazione della terapia, e non dalla “base”,


cioè il colloquio con lo psichiatra. Proprio da qui comincia la terapia: ogni


qualvolta si entra in relazione con un paziente, questo momento è già di per sé


atto terapeutico. La relazione medico/paziente assume dunque una valenza


funzionale solo nel momento in cui si riesce a creare una alleanza terapeutica.


Il termine “alleanza terapeutica” venne coniato da una psicoanalista, Elisabeth


Zetzel nel 1955, grazie alla quale, per la prima volta, venne esplicitata la


natura interattiva e bipersonale del rapporto terapeutico: non solo il paziente


si allea con il terapeuta ma anche il terapeuta con il paziente. Bordin (1979)


intenderà l’alleanza terapeutica come un fattore comune di tutte le terapie e


la definirà come un reciproco accordo tra


obiettivi del cambiamento e compiti necessari per conseguirli grazie allo


stabilirsi di legami che mantengono la collaborazione dei partecipanti al


lavoro terapeutico in cui il paziente si percepisce come collaboratore


partecipe del proprio cambiamento. In quest’ottica, il paziente non “subirà”


più passivamente la terapia, ma svilupperà una fiducia nel terapeuta e


promuoverà la consapevolezza che entrambi sono impegnati in un lavoro comune


condividendo la responsabilità del raggiungimento degli obiettivi del


cambiamento. E’ indubbio che le caratteristiche soggettive, la formazione


personale e le capacità individuali dello psichiatra possono favorire o, al


contrario, compromettere una valida alleanza terapeutica. Fattori che la


possono favorire sono, ad esempio, la capacità di non fermarsi ai sintomi


riportati ma inserirli all’interno della storia del paziente esplorando temi


interpersonali, la tendenza a favorire l’espressione di emozioni in


un’atmosfera di sostegno e attivo incoraggiamento, la capacità di assumere un


ruolo collaborativo nel dialogo col paziente. Dall’altra parte, tra i fattori


ostacolanti l’alleanza possiamo trovare l’autoreferenzialità dello psichiatra,


la tendenza a distrarsi quando il paziente parla, lo scarso coinvolgimento


emotivo (Ackerman, Hilsenroth 2001, 2003).


In questo senso,


l’area clinico-farmacologica può assumere le caratteristiche di un luogo


mentale atto non solo alla prescrizione del farmaco ma anche alla costruzione


ed alla costituzione di un “setting farmaco terapico” che si caratterizza non solo


per la qualità e le modalità farmacodinamiche di ciò che viene prescritto, ma


anche per lo spazio relazionale dove, attraverso la presenza del farmaco, il


paziente possa mettere anche paure, angosce, speranze, cioè uno spazio che sia


una “base sicura” per sé e per le sue emozioni. “La possibilità di raccontarsi e di essere ascoltato senza fretta di


definire e prescrivere, favoriva la funzione comunicativa di ciò che veniva


proiettato. Accogliere, per esempio, la diffidenza, comprendere il senso di


comunicazione come atteggiamento condivisibile di fronte a ciò che non si


conosce e commentarla insieme, favoriva la concordanza percettiva con la


paziente e la costruzione di un’atmosfera emozionale “buona”, cioè meno intrisa


di valenze persecutorie” (Oreste Bellini, 2007). La consulenza


psichiatrica, soprattutto se integrata ad una presa in carico psicoterapeutica,


permette e favorisce una “buona dissociazione” tra soggetto e sintomatologia


oggettiva, restituendo al paziente la consapevolezza di un suo ruolo attivo nel


ridare senso e significato al prendersi cura di sé, anche attraverso la


prescrizione e l’assunzione del farmaco. Quando, invece, la valenza salvifica


del farmaco è messa in atto dal paziente per evitare di entrare in contatto con


l’emotività, lasciando che il sintomo parli per lui, lo psichiatra dovrà riportare


lentamente il ruolo del farmaco da contenitore ad una risignificazione


comprensibile per il soggetto e ad una ricomposizione tra sé somatico e sé


emotivo. Se ciò non viene fatto, il farmaco può fungere da sostituto o da


surrogato del rapporto diretto medico-paziente: può servire come mezzo di


distanziamento per sfuggire ad un rapporto troppo diretto oppure per evitare la


presa di coscienza della valenza psichica del malessere, spostando quest’ultimo


sul terreno culturalmente più accettabile e rassicurante della malattia


organica. In molto casi è questa l’unica motivazione del rapporto, che si


interrompe appena essa non viene più soddisfatta: è facile in questo tipo di


relazione per il paziente sostituire un medico dopo l’altro.


Possiamo


concludere, quindi che “il farmaco,


riportando costantemente alla mente del paziente lo sforzo del curante, diventa


il rappresentante della figura del medico e il metro di valutazione della sua


competenza e, quindi, del grado di fiducia accordata” (La Barbera, 2017)


 


Bibliografia


D. La Barbera,


Atti Seminario Psicofarmacologia e relazione terapeutica, Palermo 2017


F. Ceccarelli,


evoluzione del concetto di alleanza terapeutica, 2014


V. Lingiardi, A.


Colli, L’alleanza terapeutica nella terapia psicodinamica, Franco Angeli 2010


O. Bellini,


Farmaco e psicoterapia: binomio possibile sulla cura integrata dell’anoressia e


della bulimia, Franco Angeli, 2007


     Iscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi di Como n° 4981  -   Iscritta all'Albo degli Psicoterapeuti di Como

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