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1. ANTIDEPRESSIVI: PER NON AVERNE PAURA IMPARIAMO A CONOSCERLI

03/02/2020 17:34

Dr.ssa Gaia Guggeri

psicofarmaci, antidepressivi, cervello, neuroimaging, depressione, farmaci,

1. ANTIDEPRESSIVI: PER NON AVERNE PAURA IMPARIAMO A CONOSCERLI

Perché parlare ancora di depressione? Perché, ancora oggi, c’è una grandeconfusione e una grande paura rispetto a questa patologia, sostenute da scarse

Perché parlare ancora di depressione? 


Perché, ancora oggi, c’è una grande


confusione e una grande paura rispetto a questa patologia, sostenute da scarse


conoscenze e da notizie spesso false e non corroborate da alcuna veridicità


scientifica. Avete visto il servizio


delle Iene del 3 dicembre 2019 sull’uso e abuso di farmaci? Senza entrare nel


merito, possiamo solo dire che spesso una informazione confusa, superficiale,


sensazionalistica, a stampo complottistico, anche ammessa la buona fede, può


implementare i dubbi, le paure e le insicurezze che un argomento così


importante e così delicato già di per sé suscita.


Innanzitutto è importante capire cosa significa la parola “depressione”,


spesso utilizzata in modo improprio perché fa riferimento ad uno stato d’animo


che nulla ha a che fare con la malattia. L’umore depresso è uno dei segni


presenti nella Sindrome depressiva, che, proprio per il fatto di essere una


Sindrome, è caratterizzata dalla presenza di diversi sintomi contemporaneamente


per un tempo sufficiente.


Sarebbe, quindi, più corretto parlare di tristezza, quando gli eventi di


vita ci portano a sperimentare un sentimento (e quindi non un sintomo): si può


essere tristi per la fine di un amore, per un litigio, per difficoltà


lavorative senza per questo essere depressi. Quando, però, questa tristezza


diventa talmente potente da andare a intaccare le funzionalità sociali,


lavorative, interpersonali, i nostri stessi pensieri allora bisogna stare


allerta e rivolgersi a un medico. Questo perché la Depressione è “tossica”,


cioè è un disturbo che, magari in modo subdolo e poco evidente, piano piano si


insinua nella nostra vita, intossicandola e rendendola sempre meno vivibile.


Perché, allora, c’è ancora questa paura dei farmaci per curarla? Perché


ancora oggi sentiamo dire che “ci vuole solo un po’ di buona volontà” per


uscirne? Tra le tante cause, una delle principali è che ci si dimentica che


stiamo parlando di un organo, il cervello. Se partiamo da questo presupposto


paradossalmente diventa quasi secondario parlare di ambiente o di storia


personale o di evento “depressogeno”. Tutto quanto avviene intorno a noi è


comunque mediato dal cervello, in uno scambio reciproco: certe funzioni


cognitive hanno influenzato la plasticità del cervello il quale a sua volta influenza


il mondo esterno. Ad esempio, vi è mai capitato di provare sensazioni


sgradevoli, di sentirvi “depressi” per situazioni che, in altri momenti, non vi


avrebbero suscitato quelle medesime emozioni? Perché in alcuni momenti ci


sentiamo più vulnerabili in altri possiamo sopportare avversità e problemi ben


più importanti? Il nostro funzionamento influenza il modo in cui cerchiamo e


svolgiamo le nostre interazioni, per cui un “trauma” ad esempio può dipendere


sia da ciò che ci ha offeso, sia da come eravamo predisposti verso l'offesa


ricevuta. Questo avviene perché si tende a tenere divisi il cervello-organo


dalla “mente”, interpretata come espressione del cervello e come qualcosa di


astratto e quindi non risponde a qualcosa di molto concreto come la chimica farmacologica.


Le emozioni, allo stesso modo dei


movimenti che compiamo ogni giorno, sono basate su circuiti nervosi ben


precisi. Strutture specifiche, la cui sede è identificabile all’interno del


cervello”. Paul Donald McLean nel 1962 scrive la teoria dl


cervello tripartitario dell’encefalo e lo suddivide in tre zone che


rispecchiano le tre fasi dell’evoluzione dell’uomo. 


Il primo cervello è


 


Risultato immagini per amigdala



il più piccolo e posto alla base del cranio e risale


al periodo australopiteco (500 milioni di anni fa) ed è chiamato anche


rettilano o arcaico.


Il secondo cervello che si sviluppa è quello limbico o emotivo e risale a


200-300 milioni di anni fa; si trova sopra il cervello arcaico e rappresenta


quella zona riservata alle emozioni, ai ricordi, all’istinto gregario e


al primo apprendimento. Fa parte di questo cervello l’amigdala, deputata a


“processare” tutti gli stati emotivi.


Il terzo cervello risale al periodo neolitico ed è


chiamato neocorticale o cognitivo. Qui lavora il pensieo critico, la ragione e


il linguaggio.


Joseph LeDoux ha dimostrato la centralità delle emozione


nell’amigdala. I segnali dei sensi arrivano al talamo che traduce i segnali per


mandarli al cervello per analizzarli (via alta). Ma un sottile fascio di nervi


collega direttamente il talamo all’ingresso dell’amigdala (strada bassa): questa


è la scorciatoia che condiziona l’emotività. Il talamo traduce lo stimolo


emotivo in dati cerebrali che vanno alla neocorteccia per essere elaborati, ma


una minima quantità arriva direttamente alla memoria emotiva, l’amigdala


appunto.


 


Quindi, anche se ci sembrano astratte, anche le emozioni (come i disturbi


psichici), hanno un correlato neurobiologico. Guardate cosa succede a un


cervello innamorato.


cervello innamorato 2png


Due scienziati hanno effettuato un esperimento “alla


ricerca dell’amore”. I ricercatori, Andreas Bartels e Semir Zeki, hanno sottoposto il gruppo dei


volontari a risonanza magnetica funzionale mostrando loro foto del proprio


partener nel primo compito e nel secondo foto di uno sconosciuto della stessa


età e sesso del partner. Lo sconosciuto in foto, per quanto avvenente, non


attivava le stesse aree cerebrali che si attivavano alla vista delle foto del


partner e i ricercatori ne hanno dedotto che quelli fossero i centri nervosi dell’amore in


entrambi gli emisferi. Essi sono: una


porzione dell’insula, il giro cingolato, l’amigdala e alcune parti della


corteccia prefrontale.


Modificazioni cerebrali possono essere viste, sempre con


la tecnica di neuroimaging, anche per la depressione. Dal punto


di vista organico cosa causa la depressione sul cervello? La depressione causa


una alterazione neurofisiologica su diverse aree corticali e aree come


l'ippocampo (sede importantissima per la memorizzazione). Ecco la pet di due


soggetti, uno depresso e uno normale: si può facilmente notare che il cervello


del soggetto depresso ha un'attività molto ridotta.


brain depressionjpg


 


L’astronomo Carl Sagan diceva che "sapere come funzionano le stelle,


oppure l’essere andati sulla Luna, non toglie nulla alla poesia di un cielo


stellato, anzi, la rende più affascinante". Probabilmente è così anche quando


sappiamo quali zone del cervello si attivano provando un sentimento o


un’emozione.


Alla luce di tutto quanto detto, si può affermare  che “Su tutto


è possibile esagerare tranne che sul fatto che la psichiatria si occupa dei


cervelli, e se si occupa dei rapporti, delle esperienze, delle dinamiche


sociali, si occupa lo stesso di cervelli, studiando altri punti di vista e


altri tipi di manifestazioni.”(Dr. Pacini, Mediciitalia.it)


Questo viaggio attraverso la depressione, prevede diversi argomenti. Se


vorrete, li potremo affrontare tutti, altrimenti andate a cercare l’argomento


che più vi interessa... Intanto cominciamo dall’inizio..... Come comunicano i


neuroni, le cellule del cervello, tra di loro? Quali sono le cause biologiche


della depressione? Vi aspetto al prossimo post.


 


 


     Iscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi di Como n° 4981  -   Iscritta all'Albo degli Psicoterapeuti di Como

P. IVA n°03399270135

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