Il grande tema di questi ultimi mesi è quello che riguarda il vaccino anti Covid-19, prodotto da più case farmaceutiche (Pfizer, Moderna, Astra-Zeneca per citare solo quelli già approvati). Questa scoperta è frutto di una intensa ricerca scientifica e, cosa più straordinaria, è avvenuta in tempi brevissimi rispetto a tanti altri vaccini a cui noi siamo abituati. La velocità con cui è stato messo a punto non è una combinazione, ma frutto di sforzi scientifici mondiali e di tecnologie sempre più sofisticate che soltanto 10 anni fa non erano a nostra disposizione.
COME FUNZIONA UN VACCINO RNA?
Il nostro corpo sintetizza ogni
giorno miliardi di proteine che svolgono tutte funzioni essenziali per la vita.
Le informazioni per la produzione delle proteine sono contenute nel nostro DNA,
quel filamento a doppia elica presente nel nucleo di ogni cellula animale e che
contiene il patrimonio genetico di ognuno di noi. Quando le nostre cellule
devono sintetizzare una proteina, un enzima, la RNA polimerasi, sintetizza una
molecola di RNA messaggero, che contiene le stesse informazioni presenti nel
DNA: praticamente ne fa una copia. Questo RNA si chiama messaggero proprio
perché porta le istruzioni per costruire la proteina copiate dal DNA verso la
“centrale di produzione” delle proteine, cioè i ribosomi, organuli presenti
all’interno della cellula. I ribosomi “leggono” il messaggio dell’RNA messaggero
e producono la proteina secondo le istruzioni del DNA.
Normalmente, nei vaccini
tradizionali, si utilizzano proteine virali prodotte in laboratorio e
purificate che, una volta iniettate nell’uomo, vengono riconosciute dal sistema
immunitario come estranee, innescando il processo di risposta immunitaria in
grado di combattere, qualora se ne venga a contatto, il virus.
Con i vaccini RNA, invece, si
utilizza una scorciatoia: viene iniettato nell’uomo non la proteina virale, ma
direttamente l’RNA messaggero deputato a codificare la proteina più importante
del virus e cioè la ormai famosa proteina Spike, che serve al Sars-Cov-2 per
aggrapparsi alle cellule umane e compone la corona da cui il virus prende il
nome: è la chiave falsa con la quale il virus riesce a entrare nelle
nostre cellule. Così, quando i nostri ribosomi “leggono” questo mRNA, credendo
sia un ordine del DNA, si mettono a produrre la proteina, la chiave falsa, del
virus, che le nostre difese riconoscono come estranea, innescando così la
risposta immunitaria. Ciò significa che, nel caso entrassimo in contatto con il
Coronavirus, le nostre difese immunitarie sono già allertate e pronte e
distruggerlo. In altre parole, il lavoro che dovrebbe fare la casa farmaceutica
(produzione e purificazione della proteina virale) la fa direttamente la
cellula del paziente.
In questo modo funzionano i due principali
vaccini anti Covid, Pfizer e Moderna.
Il vaccino Astra-Zeneca, sfrutta
più o meno lo stesso meccanismo ma elicita la risposta immunitaria attraverso
l’utilizzo di un vettore virale basato su una versione indebolita di un comune
virus del raffreddore (adenovirus) che causa infezioni negli scimpanzé e che
contiene il “materiale genetico” che codifica per la proteina Spike . A
seguito dell’inoculazione del vaccino nel soggetto sano, la proteina
spike superficiale viene prodotta dall’organismo, stimolando il sistema
immunitario ad attaccare il virus SARS-CoV-2 se in seguito infetta l’organismo.
PERCHE’ SI HA PAURA DEL VACCINO?
Di pari passo all’entusiasmo per
la scoperta del vaccino, si è assistito anche ad un sempre maggiore numero di
persone (tra i quali, purtroppo anche medici e sanitari), che diffidano di
questo presidio terapeutico e hanno deciso di non vaccinarsi. Le argomentazioni
più comuni riguardano la velocità della messa a punto del vaccino, la paura di
avere all’interno del proprio corpo il mRNA virale paventando una inesistente
“manipolazione genetica”, la paura di ammalarsi o di reazioni avverse. Non sto
a ribattere queste paure, che non hanno fondamenti scientifici e lo lascio fare
a colleghi virologi. Né, tantomeno, prenderò in considerazione le leggende
metropolitane e complottiste che coinvolgono il 5G, piuttosto che Steve Jobs o
altre variegate e fantasiose interpretazioni. Mi vorrei, invece soffermare sui
meccanismi psicologici che spesso sottendono queste paure ed elicitano
resistenze a tutto ciò che non conosciamo e che esula dalla nostra diretta
sperimentazione.
La nostra mente tende a funzionare
in modo dicotomico: fare-non fare; parlare-tacere; amare-odiare; bene male;
conosciuto-sconosciuto. All’interno di queste categorie mentali noi ci sappiamo
muovere abbastanza bene, perché siamo abituati a ragionare in questi termini e,
quindi, di fatto, a tenere a bada le nostre paure. All’interno di questo schema
mentale, poi, noi sappiamo muoverci nel momento in cui abbiamo una conoscenza,
cioè abbiamo esperito direttamente la dicotomia. Per fare un esempio, decidiamo
di fare (allontanarci dal fuoco), perché il non-fare sarebbe pericoloso (mi scotto).
E su questo non abbiamo dubbi. La situazione si complica quando ci troviamo a
fronteggiare scelte che non fanno parte della nostra sfera esperienziale. Come
ci difendiamo? Attraverso la nostra naturale e direi ancestrale tendenza a
produrre schemi, strutture e correlazioni mentali. La parte più antica del
nostro cervello ci ha insegnato, per esempio, ad avere una reazione di fuga
davanti a un pericolo (ad esempio il leone nella savana) anche se non avevamo
una esperienza diretta del leone, ma avevamo visto le carcasse della gazzella.
Questa capacità di collegamento molto antica ci ha preservato dalla estinzione.
Tuttavia, come spiega bene il prof. Matteo Motterlini Ordinario di Filosofia della scienza,
Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, a volte la nostra mente ci tende
delle trappole, una delle quali è quella che definisce correlazione
illusoria. Il professore propone come esempio l’autismo che è solitamente notato dai genitori nel primo
anno di vita per un ritardo di linguaggio o ritardo di apprendimento, cioè
proprio nel periodo in cui si fanno i vaccini e
i loro richiami. Di fronte a simili coincidenze, la mente umana tende a raggruppare l’informazione così da vedere una
relazione anche dove non c’è. Ciò dimostra come per l’essere umano sia
intollerabile l’imponderabile, lo sconosciuto, perché fuori dal nostro
controllo; ontologicamente la possibilità di controllo sull’evento
potenzialmente letale permette di evitarlo e di mantenere in essere la specie.
Così tendiamo ad abbandonare la logica e le leggi della probabilità per
rintracciare una relazione di causa e effetto anche dove non ci sono.
Questo meccanismo è sperimentato
da noi quotidianamente. Quando, ad esempio non troviamo le chiavi della
macchina o ci si guasta l’aspirapolvere, non tendiamo a pensare, anche per un
breve istante, che qualcuno ce le abbia spostate o che qualcuno lo abbia
utilizzato male, tanto da romperlo? Abbiamo, cioè, la necessità di dare una
spiegazione a tutto, a rendere l’imponderabile ponderabile. Afferma il
professor Motterlini: “scientificamente non c’è alcuna relazione tra vaccini
e autismo (o tra 5G e covid-19.) Noi però ne inventiamo una di sana pianta. Il
mondo è pieno di “tiratori scelti”: di gente cioè che come un cowboy texano
prima spara con il fucile i suoi colpi sulla porta del fienile, poi disegna
attorno un bel bersaglio colorato, quindi si vanta della sua mira infallibile.
Ci comportiamo esattamente così tutte le volte che isoliamo un gruppo
di fatti fuori dal loro contesto, e ci costruiamo intorno un
bersaglio, vale a dire li raggruppiamo in modo di ricondurre la “causa” solo a
quel raggruppamento. Isolo così tutti i bambini autistici vaccinati, e ignoro
tutti i bambini vaccinati non autistici (che sono ben di più!). Ma questi dati
hanno lo stesso valore nell’affermare un legame causale tra vaccini e autismo
di quanto i fori sulla porta del fienile ne hanno nel provare la buona mira del
cow-boy.”
Sicuramente, a creare ancora più
confusione, interviene la grande quantità di informazioni spesso divergenti tra
loro, che possiamo reperire sul web w sui social. In questo senso, anche qui
cadiamo in una trappola mentale: tendenzialmente l’uomo tende a dare credito a
ciò che vogliamo sentirci dire a priori. Per cui, se sono un po’ incerta sul
vaccino, tenderò a credere a coloro che dicono che il vaccino fa malissimo,
piuttosto che ad un articolo scientifico che sostiene il contrario. Senza
contare che la comunicazione di massa è assai più fruibile e comprensibile di
un articolo scientifico. Se poi, come realmente avviene, la stessa scienza
appare in contraddizione, allora il gioco è fatto. In realtà le risposte
scientifiche su un evento nuovo come il Coronavisrus mutano in base ai dati che
di volta in volta vengono acquisiti. E, per quanto detto prima, tendiamo
comunque a “mettere ordine” dove ordine non ci può essere.
Ma il professore ci mette in
guardia su un’altra trappola: l’emozione del rimpianto cioè di quella
attitudine in cui “tendiamo a dolerci maggiormente per gli atti di
commissione: se solo se non avessi agito così; che per gli atti di
omissione, cioè per quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto”.
In pratica se succede qualcosa di brutto (reazione allergica da vaccino) perché
l’abbiamo scelto, il senso di colpa è estremamente maggiore che se capitasse qualcosa di brutto (mi ammalo)
per non aver fatto niente. Insomma, esiste la
trappola dell’omissione e della procrastinazione: “se vaccinarmi deve
essere una scelta attiva, cioè un atto di commissione, tenderò a concentrarmi
maggiormente sui rischi della vaccinazione stessa, che sono qui e ora;
piuttosto che su rischio di contrarre una malattia (anche gravissima) in futuro.
Il peso dell’anticipazione dell’emozione negativa del rimpianto, in
questo modo, gioca tutta a sfavore della decisione di vaccinarmi”.
A tutto ciò si aggiunga che la nostra mente tende a vedere con maggior
attenzione le cose che ci sono vicine, mentre la vista sulle cose lontane è più
sfocata. Non solo, ma tendenzialmente tendiamo a difendersi dalla incertezza
del futuro (la malattia) con la negazione (a me non capita). E anche qui
tendiamo a fare nostre le opinioni che ci fanno “più comodo, ciò che vogliamo
sentirci dire: quindi prenderemo solo i dati sulla mortalità nella popolazione
anziana, scotomizzando tutti gli altri dati.
Come si esce da queste trappole?
Innanzitutto prendendone coscienza. Poi cercando di far emergere la logica
sull’irrazionalità, magari fidandoci un po’ più della scienza dei dati che dei
social.
Gli operatori del Centro
InTerapia di Saronno hanno aderito alla campagna vaccinale anti Covid-19,
indetta dai propri rispettivi Ordini, nel rispetto dei propri pazienti e della
salute pubblica e della propria.
Siamo in attesa di essere
convocati, ma ci piace pensare che la nostra scelta possa portare una sensibilizzazione
maggiore alla campagna vaccinale
Sitografia:
Matteo Motterlini Ordinario di Filosofia della scienza Università Vita-Salute San Raffaele, Milano Medicalfacts, 4 gennaio 2021
Roberto Burioni, virologo Università
Vita-Salute S. Raffaele, Milano, Medicalfacts
Aifa.gov.it
fondazioneveronesi.it
“Perspectives on the Impact of
Varicella Immunization on Herpes Zoster. A Model-Based Evaluation from Three
European Countries”, Plos One aprile
2013
Current controversies in childhood
vaccination”, South Dakota Magazine
2013
Antibody-Stimulating Proteins and Polysaccharides in Vaccines Is Not Associated
with Risk of Autism”, marzo 2013 The
Journal of Pediatrics